martedì 15 novembre 2011
Qualcuno di cui ridere
Quando crollò la Prima repubblica, ero troppo piccolo per sentirne il rumore. A noi che non c'eravamo ci han sempre detto che fu un terremoto. Andreotti che lasciava per sempre i banchi del governo aveva il sibilo della tempesta. Ma quella dell'altro giorno è stato il crollo di una montagna, roba da Quo Vadis?. Non tanto per la liberazione dall'uomo di potere, ma per lo schianto di una vera e propria ideologia, quale il berlusconismo in fondo era (ed è ancora, non diamolo di nuovo per morto).
Da sabato sera non si sente più parlare di Berlusconi. Sembrano passati anni interi. Pensateci. Il suo nome è già ovattato dall'oblio. Come una civiltà esistita ed estinta. Solo un mucchio di scatoloni che escono dai ministeri, ed è la fine del quarto governo del centrodestra italiano. Di sicuro gli sguardi devoti rivolti a Monti avranno avuto un qualche ruolo, ma è incredibile come l'immagine di Silvio si sia decomposta, così in fretta, sciogliendosi in poco meno di due settimane.
Io però lo devo ammettere, provo una punta di tristezza. Piccola piccola, ma la provo. Perchè me lo immagino in questo momento, sommerso di mignotte, costretto a pensare di continuo alla portata del suo fallimento. E la cosa mi rende tristino. Non tanto per la scena felliniana, ma perchè sono così maledettamente buonista da non riuscire più a ridere di lui. Non riesco più a ridere di Silvio. Che a ben pensarci è un bel problema.
Non parlo per paradossi, dico sul serio. Perchè è ovvio che nella figura totalitaria che ha rappresentato (volente o nolente) Berlusconi era anche nemesi di se stesso. Per noi che con Silvio ci siamo cresciuti, e che lo abbiamo sempre visto al potere da quando abbiamo iniziato a pensare, si apre una frattura esistenziale: siamo progressisti o lo eravamo perchè dall'altra parte c'era lui?
E' per questo che la sua fine non è una liberazione, ma il dilemma di chi deve ricostruirsi un'identità, senza dimenticare il nostro rapporto con ciò che è politica. Il potere di Berlusconi, cioè la paura che incuteva in noi, era tutta nella sfacciataggine con cui faceva amabilmente i cazzi suoi, bilanciata però alla perfezione dal grottesco della sua figura. Per dieci anni buoni ci ha fornito ogni giorno qualcosa di cui ridere. Una scusa, un appiglio per deridere il re nudo, per arrabbiarci, per inveire, per ghignare amaramente, per scuotere la testa o per rimanere semplicemente in silenzio, attoniti e sbigottiti. Come in un grande circo. Ogni giorno. Per (almeno) dieci anni.
Sono bastate le prime parole di Monti per svegliarci da un torpore immediato. Serio e inappuntabile, al limite del panegirico, non dava nemmeno l'idea di essere il nostro nuovo primo ministro. E a guardarlo tutti abbiamo pensato: "ma cosa abbiamo visto finora?". Monti, o chiunque verrà dopo di lui, non è la negazione di Berlusconi, perchè è Berlusconi ad essere sempre stato anche la negazione di se stesso.
Ma non facciamone una tragedia. Questo paese ha la memoria corta, e presto si dimenticherà anche di cosa sono state queste ultime settimane. Ora piuttosto, bisogna fare qualcosa di importante per il Paese, e capire chi prenderà il posto di Silvio sul palcoscenico. E' vero, ci sono ancora l'Umbèrt e il Robèrt ad essere maledettamente giullareschi, con tanto di ampolle del Po, matrimoni celtici e pallottole da 300 lire per i fucili della rivoluzione. Il gioco è lo stesso, ma non è la stessa cosa (anche se la Lega ha in mano le amministazioni di mezza Italia). Quelle sono mitologie fantasy. Quella di Berlusconi invece era la mitologia dell'illusione.
Quindi cosa dire? Non riesco nemmeno più a sghignazzare, e sono pure diventato dannatamente noioso. Voglio di nuovo Silvio Berlusconi, perchè ridere è un mio diritto.
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