venerdì 9 gennaio 2015

La rabbia e l'orgoglio. A lesson in violence.



Lo shock della strage di Parigi mi ha portato a scrivere di nuovo. Un palliativo senza pretese, se non altro per mettermi ordine in testa. Non essendo vissuto negli anni delle bombe nelle piazze e non avendo che una lontana memoria delle autostrade esplose per uccidere un giudice, sono sotto shock per dodici omicidi a cui riesco a reagire solo con l'incredulità. E mentre da qualche parte continua la caccia agli assassini, riesco solo a riflettere sulla reazione incontrollata che quella paura ha provocato in certi miei concittadini.

Il terrorismo non ha ragioni. Non può avere ragioni. Non ha giustificazioni, non ha valore. Se diamo ascolto al terrorismo, scendiamo a patti col terrorismo, e se vogliamo dare significato alle ragioni di chi rivendica la violenza, scendiamo a patti con la violenza. Il terrorismo non ha diritto alla nostra empatia, in nessuna forma. Più di tutto, il terrorismo non ha diritto ad avere aggettivi: è terrorismo e basta.

Non c'è distinzione morale tra terroristi baschi, greci, italiani, palestinesi, irlandesi nè ideale che autorizzi una strage vigliacca. C'è solo la condanna inappellabile del gesto. Chi non sa concretizzare le proprie convinzioni in altro modo e sceglie di esporle con la violenza, non ha nessuna convinzione da esporre. Smette in coscienza di essere umano, alienandosi il diritto alla persuasione.

Pensavo a tutto questo quando qualche ora fa ho letto l'editoriale di oggi di Maurizio Belpietro su Libero. Voleva spiegare, il Belpietro, che l'islam moderato non esiste, e ha ben pensato - lui, quello che oggi del buonismo cattolico ne abbiamo piene le palle e che ieri difendeva il crocefisso in classe con il fervore degli indemoniati - di confondere una religione con il terrorismo. Presumo che l'abbiano letto in tanti, quell'articolo, ed è questo che mi spaventa. Più che all'islam, mi ha infatti fatto riflettere su tutt'altro, sulle origini dell'antisemitismo.

La prendo larga, e pure disordinata. Ogni volta che si pensa seriamente all'Olocausto, la domanda ricorrente è sempre la stessa: come è stato possibile? Quale è stata la deriva di un'infezione che ha costruito in meno di dieci anni i camini di Auschwitz? Quale perversione culturale ha portato, nel ventesimo secolo, una nazione intera a vedere in un altro popolo la ragione di una decadenza (culturale, morale, genetica)?

Argomentazioni come quelle di Belpietro (o della Fallaci a suo tempo, o in generale di chi accetta di pensarla in questo modo) mi danno l'impressione di essere il focolaio di un contagio simile. Belpietro dice che a suo tempo la Fallaci era armata solo di penna e taccuino, mica di kalashnikov, e che con penna e taccuino non s'è mai ucciso fisicamente nessuno. Eppure, a onor del vero, il nazismo nacque da un libro, non da un fucile. Nacque dalla semplificazione, da una successione di parole e di arringhe da bar dello sport. Nacque dall'interpretazione deviata di una sconfitta tragica. Nacque e dalla convinzione che i figli di Jahvé erano il germe della cancrena germanica. Solo *dopo* sfociò nella montata del pogrom, nelle vetrine rotte e nella manipolazione della legge, quando le parole straparlate nei discorsi semialcolici in birreria, propagate da spiriti aridi in coda alle poste, giustificate in famiglia alla luce di un borseggio sotto casa e amplificate e semplificate fino a diventare collante di una società a pezzi, divennero infine veicolo della cultura ariana.

Dice Belpietro che l'Islam moderato non esiste. Sono d'accordo con lui. Così come non esiste l'islam violento. Esistono le persone moderate ed esistono le persone violente. Esistono mussulmani violenti, cristiani violenti, atei violenti, agnostici violenti, negri violenti, zingari violenti, vegetariani violenti, spazzacamini violenti. Esistono americani che imbracciano una mitraglietta e ammazzano decine di compagni di classe. Esistono italiani che sterminano i vicini di casa perchè quelli c'avevano dei figli che piangevano. Esistono uomini che, in deroga alla propria natura, uccidono nel nome del proprio Dio. Esiste l'odio, che e la putrescenza impermeabile delle proprie convinzioni, ed esiste l'insenbilitità verso la vita altrui, che è origine e carburante della violenza.

E quindi è maledettamente pericoloso interpretare la violenza terroristica di due uomini (o di venti, o di mille, o di diecimila uomini, o fosse anche di centomila) come prodotto diretto di una cultura plurisecolare che accomuna un miliardo e seicento milioni di persone. E' fallace come misurare l'oceano con un cucchiaio. Innesca la sedimentazione di una cultura sterile, che si combatte proprio con quella tolleranza, quell'accoglienza, quell'analisi complessa che Belpietro tanto ci tiene ad additare come sintomo della debolezza morale di un Occidente imbastardito dal gene islamico.

E' facile a quel punto classificare le persone in base al loro credo religioso, o al numero di scarpe. E' facile (ma forse è troppo facile) a quel punto capire come è stata possibile la Shoah.

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