domenica 27 marzo 2011
Sotto: niente.
C'erano una volta il trash e il poliziottesco (o il thriller-horror, o lo splatter iperrealistico, o cose che stavano oltre - tipo L'uccello dalle piume di cristallo). Gran cinema. Certo, oggi bisogna saper accettare i limiti di quelle produzioni e superare le aspettative hollywoodiane: abituarsi ai colori sgranati, ignorare un doppiaggio non proprio preciso e soprattutto trattenere le risate davanti agli inseguimenti fra Giuliette e 500 (presente Milano Calibro 9?). Ma a ben guardarli sono film vividi, quasi ipnotici. Atmosfere, situazioni e personaggi talmente estremi nella loro caratterizzazione di genere da essere capaci di individuare una connessione nuova, l'impossibile linea di contatto tra il poetico e l'orrendo. Come Escher. Magnifici.
Ieri sera ho visto Sotto il vestito niente - L'Ultima sfilata di Carlo Vanzina, un film in cui tutto - ma proprio tutto - è una spanna sopra le righe, talmente orribile da essere sublime. Sono uscito dal cinema in stato di estasi, lacerato da due sensazioni opposte: da un lato il sospetto di aver visto un film meraviglioso e dall'altro la consapevolezza di aver buttato 8 euro ai cani. E' una sensazione impagabile, di cui sono capaci solo i film migliori, con quella pellicola sfocata che ci fa odiare ancor di più il digitale. Film che ti fan sentire al sicuro come solo un consumato divano di pelle.
La trama è prevedibilissima, i personaggi sbozzati a colpi di accetta, il finale è come una puntata dell'Ispettore Derrick. La recitazione è raccapricciante e doppiata fuori sincrono, una soap-opera del pomeriggio con accenni di filmaccio erotico da tarda notte e tv locale. Le scene di violenza sono quasi luterane da quanto poco mostrano. Ci sono discrepanze visibilissime (gente che entra da una porta ed esce da un'altra, fendenti che vanno a segno quando pur mancando le vittime...) e tutti i topos del genere: assassini guantati, oscure telefonate nella notte, la luce che salta sul più bello, coltelli scintillanti e sangue di plastica. Non mancano lo stilista finocchio e il suo diabolico rivale (a cui ha rubato il fidanzato ganimedeo), la biondona svedese poco Klum e molto Heidi, il bauscia proprietario di un night club (macchè, è una discoteca, che si chiama pure Cuba Libre!), champagne & cocaina, Mercedes nere, agiate famiglie di serpenti, sesso, perversioni e finti suicidi su cui indagano l'ispettore terrone e il suo scalcagnato aiutante.
Il tutto ambientato in una Milano striata di riflessi azzurrognoli, splendente e sfolgorante nella sua decadenza, con i suoi appartamenti-atelier, i ciottolati di Brera, i quadri da gioventù rampante e le vasche da bagno di design, piazza Velasca alle quattro del mattino, le vetrate sui giardini d'inverno in legno chiaro e piazza del Duomo che si tinge di notte.
Ai posteri resterà una scena, perfetta: la seconda sfilata, a Roma, in cui la modella bonazza cammina al ralenti scivolando su Telephone di Lady Gaga. Il vertiginoso tacco si appoggia in primissimo piano e schiaccia il marmo candido. Roba da De Palma.
Un applauso, l'ultimo, va al personaggio migliore, il portinaio del condominio delle modelle. Quaranta secondi sullo schermo, forse. Interrogato dall'ispettore che gli chiede il suo parere sull'omicidio gli risponde in buon dialetto: se ta vor che na su mi, l'è minga lù ol pulisiot? Incommensurabile.
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