venerdì 18 marzo 2011
Zingarate e carognate
Esattamente come i romanzetti rosa da edicola, certi film si possono giudicare benissimo dalla sola locandina.
Una settimana fa ho sentito alla radio la pubblicità del nuovo capitolo della saga di Amici miei, uscito ieri (o l'altro ieri forse) al cinema. Da grande ammiratore dei primi due episodi non ho potuto che sorridere felicemente, salvo poi farmi assalire da una terribile malinconia.
Il motivo è presto detto. Lo spot è una lunga supercazzola recitata con un marcato accento toscano. E' lì probabilmente che ho iniziato a pensare male. L'indimenticabile Tognazzi, il Conte Mascetti, il povero disgraziato in doppiopetto e cravatta di seta, era l'unico fra gli Amici che non parlasse in toscano stretto: la supercazzola brematurata, di cui era teorico e vessillifero, aveva rigorosamente una punta di lazialità. Ma è un dubbio filologico, mi dicevo: non facciamone una tragedia.
Le preoccupazioni però sono aumentate quando ho visto la locandina. La grafica infatti non aiuta, ricalcando pari pari il modello dei cinepanettoni vari. Proprio come un qualsiasi film di Natale giganteggiano infatti la firma autoriale di Neri Parenti e una lunga serie di attori presi in prestito dai medesimi filmetti e dalla tv: Christian De Sica, Giorgio Panariello e Massimo Ceccherini (spero solo per questione di accento) seguiti da Michele Placido, Massimo Ghini e Alessandro Benvenuti. Per fortuna c'è Paolo Hendel, che è bravo e che è pure toscano, ma ciò non basta a far dimenticare i cappelli rinascimentali che tutti indossano con disinvoltura. Insomma, ogni entusiasmo s'era sopito. Scoprire infine che si tratta di un prequel medievale (tipo Decameron Pie) del primo episodio mi ha definitivamente abbattuto.
Non sapendo sopportare il peso della propria malattia, Mario Monicelli si è suicidato gettandosi dal quinto piano di un ospedale meno di quattro mesi fa. Fa tristezza pensare che la sua lezione di tristallegria, quella filosofia così lampante in Amici Miei (così come nella Grande Guerra, come nei Soliti Ignoti, come nell'Armata Brancaleone), venga infangata così e così presto, vendendo un tanto al chilo uno dei marchi di fabbrica di un protagonista immenso della commedia all'italiana. I monologhi della 128 e gli amari soliloqui sulla goliardia e sulla morte. Le vicende di quegli uomini che non prendono nè la vita, nè l'età, nè la malattia con troppa serietà, proprio come il povero Conte Mascetti (quello del rinforzino con due olive) o come il Perozzi col su' odioso figliolo o ancora come l'infelice Melandri e il solitario Sassaroli. A ripensarci il secondo film si conclude con Tognazzi in sedia a rotelle, quasi morto di crepacuore per ennesima salve di ironie degli amici sulla sua povertà, la povertà di uno che era Conte e che s'era magnato tutto. Un uomo malato e paralizzato che però è finalmente felice. Impossibile spiegarlo se non si è visto il film. Impossibile capirlo dopo che Monicelli ci ha lasciato.
Tutto questo è Amici miei.
E tutto questo, secondo i cinepanettari, non va oltre il fuoco d'artificio della supercazzola brematurata.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento